LA PAROLA SI E’ COMPIUTA – I battiti del Cuore Biancazzurro (10/c), di “Gaby”
05/07/2023
FUORI UN ALTRO: CHI E’ RIMASTO?
06/07/2023

Domenica, 3 luglio 1977 (continua) – 
Link alla parte precedente.
(…) La squadra bergamasca si porta quasi subito sotto la Curva dei suoi tifosi, anche perché il sottopassaggio è proprio là sotto, per quello che ha tutta l’aria di essere solo un anticipo di festa e ringraziamenti reciproci. E la nostra “ansiosa invidia” sale di un altro gradino … ma sale anche il nostro “sadico” divertimento nel vedere che tutta la troupe nerazzurra deve fare attenzione a restare davanti lo spicchio centrale della Curva, perché non appena si sposta di un solo metro … si trova davanti la muraglia Biancazzurra, ovvero si trova ospite in casa propria.
Anche per questo i minuti scorrono velocissimi, fino a quando circa venti minuti dopo veniamo come “svegliati” dalla tano attesa visione “celestiale”: quella del Pescara in borghese che spunta dal sottopassaggio. Un momento che stavamo aspettando praticamente da … subito dopo Terni, per mille e più motivi (facilmente immaginabili), ma soprattutto per dare ai nostri Eroi il messaggio più semplice e importante che una tifoseria possa produrre: siamo qua, ci siamo noi al vostro fianco, perciò non avete nulla, ma proprio nulla, di cui preoccuparvi.
E poi, il nostro ruggito di ulteriore rassicurazione reciproca: “Si va, si va, si va in Serie A”, ancora una volta urlato a squarciagola da tutti e 30.000, ma “un po’ più” che a squarciagola da noi reduci di “Trani”, ora del tutto increduli davanti a un’utopia che tra qualche ora avrà completato la sua trasformazione in realtà. E urlato da tutti i tifosi dell’area metropolitana pescarese che non hanno mai smesso di credere e identificarsi nella Maglia Biancazzurra. Urlato da tutti i residenti nei paesi più sperduti dell’Abruzzo montano, che magari all’Adriatico sono venuti non più di 4 o 5 volte in questo campionato ma che oggi vedono in questa Serie A tutta la loro rivincita sociale e persino personale. Sì, proprio così: personale. Significa tornare nel loro paesino e poter dire: “Io sono un tifoso del Pescara. Io sono stato a Bologna. Io sono rappresentato in Serie A”.
Ed è qui, soprattutto qui, che capisci fino in fondo il perché di quella bocca spalancata come un forno, il perché di quel viso violaceo, il perché di quelle vene del collo che somigliano a gomene pericolosamente prossime allo scoppio.
I giocatori biancazzurri, invece, sono di nuovo meravigliosamente sconvolti dalla commozione, nonostante siano passati solo otto giorni da una scena del tutto analoga a Terni. Ma oggi siamo di più, la maggiore monumentalità dello stadio ci esalta oltre ogni dire, e quindi hai l’impressione di essere davvero al di là della realtà.
Ma dovevamo venire a Bologna, a 350 km. di distanza, per vedere e sentire di cosa è capace la tifoseria Biancazzurra? Per vedere e sentire ciò che nemmeno all’Adriatico abbiamo mai visto e sentito!?
Si guardano tutti attorno, mentre camminano sul campo come robot ai quali si sta scaricando la batteria. E i giocatori atalantini, lasciata tutto d’un colpo la loro Curva … o meglio: il loro “terzo di Curva”, fanno altrettanto, letteralmente stupefatti. Impressionati … e (credo) quanto mai coscienti di quello che oggi “si può e non si deve” fare. Sono tutte persone in gamba, quelli dell’Atalanta, e quindi “capiscono” al volo, senza bisogno di troppe spiegazioni.
È la “forza del dodicesimo”, bambola!… Se ce l’hai, bene!… altrimenti non potrai comperala in nessun negozio.
Nel frattempo, il campo viene invaso da un formicaio di fotografi, tutti intenti ad immortalare le varie (ed irripetibili) espressioni dei giocatori. Uno di loro si avvicina a Santucci per immortalare il suo primo piano, ma Matteo lo blocca immediatamente e gli indica gli spalti del Comunale bolognese. Non ci vuole certo l’interprete per capire che sta dicendo: “Non è me che devi fotografare, ma tutti loro. Non sono io il meritevole di finire in prima pagina, ma tutti loro”. Poco distanti, Nobili, Mosti e Prunecchi stanno facendo lo stesso. La Rosa, Orazi e Piloni no, perché … sono rimasti di sale, e non riescono più né a muovere un passo né a dire mezza parola.
C’è persino da preoccuparsi: in questo stato emotivo, come faranno a giocare? Perché, caso mai ce ne fossimo dimenticati, la partita dev’essere ancora giocata … è obbligatoria giocarla … non possiamo sbrigarla a tavolino. Altri sì, la sbrigano a tavolino con una certa frequenza, noi no!
Un fantasma volteggia nell’aria, ed è quella sinistra, gracchiante, inacidita frase scritta da L’Unione Sarda: “L’Atalanta è al massimo della tranquillità, il Pescara è al massimo della tensione, che gli potrebbe giocare un brutto scherzo”. Mentre il sole illumina i sempre più sinistri colori rosso e blu di quello striscione appeso lassù in cima alla Curva Andrea Costa, lato Distinti … Di nuovo, quel gracchiare da brividi che senti in lontananza e poi avvicinarsi all’improvviso, soffuso eppure nitidissimo, già tragicamente sperimentato cinque anni fa. Ancora quel volteggiare di corvi neri sopra le nostre teste, che proiettano le loro ombre sul tappeto erboso … C’è niente da fare, conviene farci l’abitudine, perché la vita del tifoso è questa: una continua altalena di emozioni opposte, esattamente come accade in Amore. Poiché è di Amore che stiamo parlando. Se poi sei tifoso del Pescara, ce l’hai scritto nel Destino: conquisterai sempre con grande sofferenza le tue grandissime gioie.
Mentre, le due squadre si avviano a rientrare negli spogliatoi praticamente fianco a fianco, i colpi di scena si susseguono a ripetizione, e ne arriva uno che davvero può essere definito unico. Non so se irripetibile, perché nessuno di noi sa cosa accadrà tra cinque minuti, figuriamoci se possiamo prevedere i prossimi anni, ma di sicuro fino ad oggi non s’è visto niente del genere, né a Pescara né in Italia, né in Serie C né in Serie A: all’improvviso, al di fuori di ogni programma e senza alcun cenno che lasciasse intuire qualcosa, entra in campo il nostro presidente Armando Caldora, vestito con pantaloni bianchi e camicia azzurra. Un tono di azzurro praticamente perfetto: né celeste né blu, né turchese né oltremare … azzurro e basta, il più bell’azzurro che esista, in perfetto “pendant” con il cielo.
Insomma, una vera “apparizione”.
Lo stadio, vistosamente entusiasta di questa sorpresa, saluta con un boato che comunque rientra nella norma, uno come quelli che ci sono stati a decine finora, magari per l’arrivo di Serafino, o per il consueto show di Ivo Melatti e la sua inseparabile sciarpa sul braccio, per i Vigili del Fuoco di Bologna che “innaffiano” con acqua “benedetta” l’ardente muraglia umana sulle gradinate, o per il capo servizio d’ordine dello stadio bolognese che sventola una piccola bandiera Biancazzurra … Insomma, sembra che tutto sia nella normalità e, quindi, destinato a sfumare di lì a pochi minuti; come infatti era avvenuto a Terni, sabato scorso. Invece, adesso Caldora si porta sulla pista d’atletica e inizia un vero e proprio “giro di campo”, del quale evidentemente al Liberati aveva solo fatto le “prove generali”: prima sotto la Tribuna, poi sotto la Curva San Luca, quindi sotto i Distinti … un tragitto di circa 300 metri percorso a passo lento e con decine di soste per salutare, stringere le mani che si allungano attraverso la cancellata di recinzione, baciare le bandiere Biancazzurre che gli sventolano a pochi centimetri, intavolare brevi dialoghi con i gruppi di tifosi che, scesi velocemente dalle gradinate, ora lo seguono passo-passo come si fa durante una tappa del Giro d’Italia.
E chi se lo sarebbe mai aspettato!?
Ma proprio per questo, ora lo stadio è in visibilio, per non dire prossimo all’isterismo collettivo.
Nessun “vecchio” tifoso, nemmeno quelli del Rampigna, ricordano d’aver avuto mai un presidente del Pescara che facesse qualcosa di simile. Mai. Anche perché mai ci sono state le condizioni per poterlo anche solo pensare, vuoi per epiloghi di campionato di un grigiore assoluto, vuoi per una tifoseria Biancazzurra che con i propri Presidenti ha sempre avuto rapporti “elettrici” … quando tutto è andato bene. E invece, oggi il popolo calcistico più “mangia-presidenti” che ci sia in Italia (e la storia parla chiaro) ora sta osannando il suo massimo dirigente, ma dovremmo dire il suo rappresentante, come si potrebbe fare solo verso un dio terreno; di fatto, siamo all’adorazione vera e propria.
Non è solo il doveroso riconoscimento verso chi sta trasformando il “sogno dei sogni” in un’impensabile realtà; qui c’è molto di più.
È l’umiltà di uno che pensa come noi. Dunque, è Biancazzurro dentro.
È la genuinità di uno che parla come noi. Dunque, si fa capire da tutti.
È la bontà d’animo di uno che genera invidie e gelosie. Dunque, è un “grande”.
È la familiarità di uno che non si tiene “a distanza”, ma è talmente “vicino” da camminare in mezzo a noi.
Più parla dialetto, più è pescarese dentro.
Più dice che “Domenica prossima voglio vincere ad Atalanta” e più ci appartiene.
Più “sfila” lungo corso Umberto e più lo sentiamo “nostro”.
Più lo sentiamo “nostro” e più gli vogliamo bene.
È persino elementare, no?

Il Presidente Caldora sotto la balconata dei Distinti

Sì, è una persona alla quale piace non poco “fare passerella”, farsi coccolare dalla sua gente, ricevere le gratificazioni che egli ritiene di meritare; l’avevamo capito da un pezzo. Embè?… Chi non farebbe altrettanto (se non peggio), al suo posto? Ci sta dando ciò che abbiamo sempre ritenuto semplicemente impossibile, perciò a noi sta benissimo così, con quel suo aspetto e modo di fare che, se vai a vedere fino in fondo, è di una “pescaresità” perfetta.
Eppure, il top di questo magico momento deve ancora arrivare.
Dopo aver salutato quasi “uno per uno” noi dei Distinti, con il viso luccicante … non solo di sudore, si avvia a rientrare negli spogliatoi ma, invece di imboccare il sottopassaggio, si ferma con assoluta tranquillità sotto la curva Andrea Costa e, dopo aver salutato tutti i Biancazzurri di quel settore, passa sotto lo spicchio atalantino … non a 50 metri, e nemmeno a 20 (come un inserviente dello stadio gli sta chiedendo di fare), ma proprio a un metro dalla cancellata, passo lento, testa ben alta, sguardo fisso verso la tifoseria nerazzurra, braccio destro alzato in segno di saluto …
Non un fischio bergamasco. Non una parola. Non un solo mozzicone di sigaretta lanciato al di là della recinzione. Niente di niente. E subito dopo addirittura un applauso! Timido quanto vuoi, ma pur sempre un applauso.

Tifo atalantino (e striscione Forza Cagliari – Club Milano – in alto, sotto la scritta “frigette”) 

Un uomo da solo ha letteralmente ammutito 4.000 “ultras” atalantini, fino a costringerli ad un applauso di riconoscenza. E si stava anche fermando a parlare con loro attraverso la cancellata, cosa che avrebbe fatto senz’altro fatto se non fosse intervenuto subito il capo del servizio d’ordine; che evidentemente non ha capito cosa sta accadendo. Non puoi capire certe manifestazioni di “animo” se non hai sangue abruzzese nelle vene.
In tutto, saranno stati non più di 15 minuti, ma resteranno uno per uno incisi con lo scalpello nella nostra mente. Ce li porteremo con noi fino all’ultimo giorno, ci puoi contare.
Sono le 17,15 e la tensione sta raggiungendo livelli che nemmeno il Pescara-Lecce di tre anni fa ci aveva fatto raggiungere … “per una semplice partita di calcio” continua a blaterare qualcuno con patetica superficialità. Questa “semplice partita di calcio” fra due ore ci dirà se stiamo vivendo il paradiso o l’inferno, ci farà sperimentare un pezzetto di Vita Eterna o un anticipo di “morte”, senza appello, e tu continui a parlare di “gioco”?
C’è grande movimento in Tribuna centrale, specificatamente in quella d’onore che, manco a dirlo, si sta affollando di personaggi d’ogni genere provenienti da tutta Italia e persino dall’estero. Tra questi c’è (come previsto) il Capo dell’Ufficio Inchieste della FIGC, avv. Corrado De Biase, venuto (dicono) ad accertarsi di persona che si giochi una partita vera, e non “parlata” … Poi, caso mai, ci spiegherà come si fa a riconoscere quella ”vera” da quella “parlata”.
Intanto, l’afflusso “infinito” degli spettatori è finito e, come già a Terni, anche il servizio d’ordine del Comunale bolognese ha chiuso tutte le porte, lasciando comunque fuori altre migliaia di persone, tra curiosi e senza biglietto. Dentro invece siamo 50.000 ad occhi chiusi, perché è evidentissimo che la super capienza dei 46.000 è stata superata: se cade un ago non arriva a terra. Siamo letteralmente impossibilitati a muoverci, e non abbiamo mai preso tante gomitate, testate e botte ai fianchi come oggi, da chi malmena i tamburi, da chi sventola bandiere, da chi si è autoeletto a capo-tifoso e si agita per dirigere il tifo … Saranno anche botte involontarie e festose, non lo metto in dubbio, ma intanto le stiamo prendendo, e la cosa non ci rende particolarmente euforici. Ma se questo è il prezzo per avere in cambio una giornata come oggi, accetto anche di essere torturato; senza alcun problema.
Sono le 17,25 ed è finalmente giunto l’attesissimo momento delle formazioni, il momento in cui lo scambio emotivo tra squadra e tifoseria si esprime al massimo grado. Da una parte, ogni singolo nome scandito dallo speaker ci ricorda quanto ha dato alla Maglia Biancazzurra quel giocatore, dall’altra parte la tifoseria che, con il suo boato, gli esprime tutto l’entusiasmo, il riconoscimento e il ringraziamento; foss’anche la più sconosciuta riserva o l’ultimo dei raccattapalle.
Come da facile previsione, e in perfetta aderenza a un preciso programma non scritto, viene scandita per prima la formazione dell’Atalanta, con lo stesso identico tono di una “pratica” da sbrigare al più presto, per lasciare spazio ai protagonisti assoluti della giornata. I tifosi nerazzurri, con esemplare compattezza, accompagnano ciascun nome con il classico “Olè!” e l’innalzamento delle aste di bandiere. Un “canneto” di bandiere che si elevano verso l’alto in perfetta sincronia, vera specialità delle due tifoserie genovesi (in tal senso maestre a tutti gli effetti), ma ormai adottato da tutte le grandi tifoserie italiane.
È il momento di gloria della tifoseria atalantina, secondo me il primo e l’ultimo della giornata, poiché il loro entusiasmo è oltremodo esaltato dal completo silenzio tutt’attorno … Finché non si arriva all’ultimo nome, quello del loro bomber Bertuzzo, quando ogni voce nerazzurra viene completamente sovrastata da un incredibile e spontaneo applauso dei 30.000 biancazzurri, così forte e convinto da soffocare qualsiasi altra esistenza all’interno di questo catino; molto più e molto meglio che se ci fossimo messi d’accordo.
Lo spettacolo visivo e sonoro offerto dagli atalantini funge da ulteriore stimolo per tutti noi, già invasati di nostro all’ennesimo grado. Tu dovresti vedere ora che atmosfera si è creata. Lo speaker, da vero maestro, fa una pausa che l’orologio misura in 5-6 secondi al massimo, ma che per noi e per il significato che assume equivalgono a 5-6 ore. E durante questi 5-6 secondi tu vedi e senti l’intero stadio (atalantini compresi) sprofondare improvvisamente in un silenzio lunare. Un silenzio di attesa, di fiato sospeso, nemmeno stessero per rivelare il terzo segreto di Fatima. Stiamo tutti guardando verso il centro della Tribuna, dove c’è la postazione radio-TV (e quindi anche quella dello speaker), come a dire: “Dai, spicciati! Che cavolo aspetti”? Poi verso gli atalantini, per avvisarli: “Adesso vi facciamo vedere noi come si fa”.
Stai pur certo che lo hanno capito tutti “come si fa”, atalantini e bolognesi dal primo all’ultimo oggi qua presenti. Se hai qualche dubbio, rintraccia uno di loro (sembra difficile, ma con un po’ di buona volontà si riesce in tutto) e prova a chiedergli cosa ha visto e sentito alle 17,25 del 3 luglio 1977. Dopodiché, “ascolta” con attenzione la sua voce, e “guarda” con altrettanta attenzione la sua espressione. Ascolta, guarda e immagazzina ogni singola sfumatura della sua risposta “sonora e visiva”. Poi mi saprai dire.
Eppure veniamo da Terni, dove solo otto giorni fa abbiamo realizzato qualcosa che fin’allora credevamo irrealizzabile per qualsiasi tifoseria a “dimensione umana”.
Uno sguardo, una frazione di secondo, e tutti noi 30.000 ci capiamo al volo: aste di bandiere tutte puntate verso l’alto a mo’ di lancia; grandi, piccole o medie che siano. Polmoni ricaricati al massimo della capienza, per poter produrre ad ogni nome biancazzurro un “Olè”! che “deve” restare unico nella nostra vita … “deve”, perché quel nome se lo merita come nessun’altro.
Eccola qua la fine del mondo.

Quella che i simpaticissimi Testimoni di Geova aspettavano tre anni fa con assoluta sicurezza e che, invece, non avranno mai. Finché non si convertiranno tutti al Biancazzurro: l’unica Fede che trasforma ogni speranza in certezza.
Il Comunale bolognese è sconquassato da boati così violenti che se ora passasse un jumbo jet sopra le nostre teste non lo sentirebbe nessuno. Le due Gradinate di Genova? Le due Curve di Torino? Robetta da principianti!
Nessuno di noi 30.000 può sapere cosa c’è scritto nel futuro Biancazzurro, e perciò non possiamo escludere a priori nemmeno traguardi oggi poco più che utopistici: forse un giorno vinceremo lo Scudetto (del resto, se è riuscito a vincerlo il Cagliari …) e magari, con un po’ di (necessaria) fortuna, arriveremo anche a giocare una finale di Coppa dei Campioni a Wembley con 50.000 tifosi al seguito, ma non potrà mai essere come oggi, mai come questo momento. Semplicemente perché questa è la “prima e irripetibile” volta; dunque, per definizione destinata a restare unica per “qualità”, prim’ancora che per “quantità”.
Entrano le squadre in campo, in un frastuono così assordante che, ti giuro, non riesco a sentire neanche cosa mi stanno dicendo Ciro e Fabrizio, nonostante si trovino a dieci centimetri dalle mie orecchie. Oltre alle urla isteriche di un po’ tutto lo stadio (bolognesi compresi …), stanno suonando all’impazzata tutti i tipi di strumenti musicali possibili e immaginabili. E poi, come avviato all’unisono dal più grande direttore d’orchestra del mondo, l’intero stadio biancazzurro scoppia in un “Si va, si va, si va in Serie A” che parte dalla Curva San Luca e si espande a Tribuna, Distinti e … Curva Andrea Costa in un lampo; in un vero lampo. Stanno urlando “Si va …” a mezzo metro dagli atalantini … a venti centimetri dallo striscione cagliaritano e i suoi “fantastici” proprietari.
Pelle d’oca. La stessa che avremo tutti noi anche fra venti o cinquanta anni, quando ripenseremo a questo momento per la duecentesima volta.
Come già un’ora fa, l’Atalanta si riporta in blocco sotto lo spicchio nerazzurro della Curva Andrea Costa, per un bis di ringraziamenti reciproci, questa volta senz’altro più suggestivi per via delle maglie. O forse perché le parti si sono capovolte, e ora è la squadra a voler stare vicina ai propri tifosi, per non farli sentire soli, in questo oceano Biancazzurro?
Sì, può essere.
Il Pescara invece si divide in tre gruppi, ciascuno dei quali va sotto un settore dello stadio. A centrocampo resta solo la terna arbitrale, a mo’ di tre veri “baccalà” che non sanno che … pesci prendere: far rispettare il regolamento e richiamare tutti all’ordine, per dar inizio alla partita senza ulteriori ritardi? Oppure chiudere un occhio e concedere paternamente qualche minuto ancora per questo strabiliante ambiente festoso che essi stessi si stanno godendo goccia a goccia?
Secondo me, in questo momento della partita in sé non importa proprio niente a nessuno. Ognuno per un nostro preciso motivo personale, abbiamo tutti ben altro per la testa e nel cuore. In ogni caso, almeno ufficialmente, siamo qui per una partita di calcio da giocare su quel rettangolo erboso davanti a noi e, come da programma, c’è un fischio d’inizio, più che altro, per far contenti Lega, FIGC e … i cagliaritani. Anche se c’è ben poco da essere contenti: più passano i minuti e più si avvicinano le 19,15; più si avvicinano le 19,15 e più per loro la mazzata si fa dura.
Io, al loro posto, me ne sarei andato già da un pezzo. Non l’hanno fatto, e per questo vanno sinceramente ammirati.
I primi minuti di gioco sono caratterizzati da quella “paralisi generale”, tanto in campo quanto soprattutto sulle tribune, ormai diventata tradizione di ogni partita decisiva; dal frastuono assordante al “vociare” soffuso il passo è ancora una volta brevissimo. Si sentono solo gli atalantini che, ovviamente, se ne fregano del risultato e hanno come unico scopo i festeggiamenti per i loro idoli, magari non negandosi nemmeno la possibilità di una piccola rivincita nei nostri confronti, in reazione al mutismo cui sono stati costretti finora.
Ora bisogna avere tutta la pazienza e la forza di questo mondo per saper aspettare che passino quei 105 … 104 … 103 minuti … perché anche l’intervallo è un “tempo” da far passare. E abbiamo un’unica consolazione: è un tempo che nessuno può fermare.
Con questa rinfrancante consapevolezza noi del Pescara Rangers cerchiamo di reagire, sollecitati anche da Erminio, dal signor Manzo e tutti gli altri, ma è un tifo che si “sfiata” prima ancora di iniziare: per quanti sforzi si faccia, la voce non esce e tutt’attorno a noi sembra un presepe; Fedelissimi compresi. È già tanto se riusciamo a “malmenare” i tamburi, quasi a volerli sfondare, ma per lunghi tratti non riusciamo a fare neanche questo, letteralmente pietrificati con sguardo allucinato verso il campo di gioco. Il quale campo offre uno spettacolo del tutto analogo: il Pescara ridotto a undici statue di gesso e l’Atalanta senza pensieri che gioca una partita di per sé addirittura “battagliera”.
A occhio e croce, non sono passati dieci minuti quando è proprio l’Atalanta a farsi veramente pericolosa, con un’azione Festa-Tavola che già dall’impostazione iniziale non lascia tranquilli nessuno. Piloni para sicuro, e noi tutti 30.000 Biancazzurri dapprima ci preoccupiamo di “rimettere in moto” il nostro cuore, e poi la mente che, come al solito, inizia il suo “doppio gioco”, alternando con spietato cinismo la sicurezza del “già scritto” e il terrore di quella sgraditissima sorpresa sulla quale Gazzetta dello Sport e Unione Sarda hanno impostato una vera “campagna del malocchio” per tutta la settimana.
Per fortuna, anche questa volta lo stato angoscioso volge al termine in tempi ragionevoli, soprattutto per il nostro cuore, e già dopo qualche minuto Nobili si guadagna e calcia una punizione perfetta, ma il pallone sfiora la traversa di 2 centimetri al massimo. Stadio scosso da “magnitudo 8,5”, ma regge benissimo; complimenti ai progettisti e alla Ditta costruttrice.
È il segnale. Ci siamo svegliati, siamo tornati a essere quelli di Terni, di Ferrara, di Caserta, del 9 giugno 1974 … di sempre; e per l’Atalanta comincia a mettersi male. A metà tempo Orazi spara dal limite dell’area … è gol!… questa volta il “sovraccarico statico” subìto dallo stadio bolognese è da allarme rosso, ma la palla va incredibilmente a fil di palo e nessuno si sa spiegare perché. Cinque minuti ancora, non uno di più, e Pizzaballa esce di pugno alla disperata, togliendo letteralmente la palla dalla testa di Zucchini, già pronto ad insaccare facilmente.
Di fatto, l’Atalanta non riesce più a raggiungere la nostra tre quarti, perlomeno fino al 35° circa, quando Tavola (sempre e solo lui) avrebbe l’occasione per creare un’azione molto pericolosa, ma la perde per troppa … “indecisione” sul da farsi. Già mi posso immaginare i “benpensanti” che siedono in Numerata e Tribuna d’onore!… e tutti i loro maligni pensieri … ma scusate: dove sta scritto che ogni azione nerazzurra debba essere per forza un possibile gol? Dove sta scritto che anche un gran giocatore come Tavola non possa avere un momento di deconcentrazione e indecisione, come ne capitano a decine durante il campionato? Dove sta scritto che ogni errore atalantino sia “fatto apposta”? Siamo forse di fronte ad una squadra perfetta, che non sbaglia mai? E se è così perfetta, perché non ha vinto il campionato con 20 punti di distacco sulla seconda? La risposta pescarese a questi e altri mille ironici interrogativi è una sola: “Si va, si va, si va in Serie A” più fragoroso e rimbombante che mai. Alla faccia dei “benpensanti”, naturalmente.
Non avete la più pallida idea di quanto vi tocca rosicare oggi!
Tanto più che il Pescara … quello stesso Pescara “ormai atleticamente e mentalmente fuso” (hanno scritto da qualche parte) … continua a dominare il campo e a creare azioni su azioni, “regalandoci” un altro crepacuore a cinque minuti dalla fine del tempo: Orazi ridicolizza il nostro caro amico Rocca con tre finte e un tunnel, stadio in surplus di visibilio, cross perfetto al centro dov’è appostato La Rosa, che non si fa certo pregare. Botta destinata a gol sicuro, ma Pizzaballa compie un’altra “incomprensibile” paratona, riuscendo a volare là dove non arriverebbe neanche un’aquila. Calcio d’angolo, l’ennesimo senza esito per via di un portiere che anche sulle palle alte sta confermando tutta la “divina” imbattibilità.
Dobbiamo ammetterlo: questo qui è davvero un “signor portiere”, nonostante i suoi 38 anni! Tra l’altro, famosissimo perché la sua figurina Panini è la più rara in assoluto; infatti, sono pochissimi ad averla, invece sono tantissimi (tra cui io) che non riescono a completare la raccolta a causa di “una” figurina: la sua! (e dopo aver speso un patrimonio per comperare decine e decine di “bustine” a vuoto. Perciò, di motivi per mandargli “calorosi” accidenti ne abbiamo più d’uno.

Però ora dei miracoli di “Pizza” ci interessa poco o niente. Ci interessa molto di più che il pallone resti il più lontano possibile da Piloni; il resto va tutto bene. Anzi, benissimo.
Al doppio fischio di fine tempo, si vive pienamente la sensazione di “metà opera”, ma siamo ben lungi dal poterci definire tranquilli. La verità è che avere 45 minuti davanti, anziché 90, è un’arma a doppio taglio. Se è vero che abbiamo dimezzato il percolo di … “imprevisti”, è altrettanto vero che ora anche il tempo per “recuperare” è dimezzato. Tanto basta per renderci infernali anche questi 15 minuti che, invece, dovrebbero servire per avere un attimo di respiro. Se di “respiro” si può parlare con questo caldo.

Fine 1° tempo: Cadè e Rota rientrano negli spogliatoi

Ora che la partita non c’è, i minuti scorrono con una velocità incredibile (un giorno, qualcuno dovrà pur spiegarci questo incomprensibile fenomeno), ed ecco quindi le teste dei ventidue calciatori spuntare di nuovo dalla scala del sottopassaggio sotto la “Andrea Costa”, accolti da un “Si va, si va, si va in Serie A” urlato con una tale forza da far sembrare che siamo raddoppiati di numero, ma che vuole inviare ai nostri Undici in campo il più elementare dei messaggi: “Ancora un piccolo sforzo, ed è fatta!”.
Il gioco riprende con la stessa tranquillità vissuta sul finire del primo tempo, ma è chiaro che si tratta di pura apparenza, perché poi ogni cross, ogni azione nei pressi dell’area, ogni punizione, ogni calcio d’angolo, ogni filo d’erba può decidere la partita. E quindi, del campionato. E quindi la nostra vita.
Per quanti sforzi si faccia, non riusciamo a scacciare dalle nostre menti i fantasmi di Mantova-Inter, di Atalanta-Catanzaro e di Verona-Milan, incubi che ormai abbiamo imparato a memoria, “grazie” al martellamento della stampa nemica. Ma fra 40 minuti … sai dove potranno ficcarselo, il loro meschino martellamento? Esatto!… proprio lì.
Sei minuti dall’inizio del secondo tempo e Di Michele (che gioca al posto di Prunecchi) compie una grandissima azione, ma è sfortunato nella conclusione. O forse è troppo emozionato; prova a metterti nei suoi panni: il gol della Serie A segnato da un pescarese purosangue!
L’Atalanta ora sembra … e sottolineo “sembra” … una perfetta “sparring partner”, ma quando riesce ad avvicinarsi dalle parti di Piloni crea panico puro, a conferma di cosa voglia dire avere una prima linea composta da Fanna-Rocca-Chiarenza-Tavola-Bertuzzo … Capisci bene che non puoi “distrarti” nemmeno per tre secondi di fila; e forse anche due sono troppi. E così, è passato da poco il quarto d’ora quando Piloni esce dai pali per una presa che sarebbe semplicissima per qualsiasi portiere di Eccellenza, forse anche di Prima Categoria. Invece, la palla lo supera e si avvia verso la porta.
Paralisi totale. Di tipo fulminante.
Un solo pensiero “lucido”, dentro una mente ormai completamente fusa dalle fiamme: guardare l’orologio, per vedere quanti minuti “di speranza” ci restano per recuperare la frittata.
E invece, a recuperare è Andreuzza che, spuntato da chissà dove, o più verosimilmente inviato dal Cielo, riesce a raggiungere la palla e a scalciarla alla bell’e meglio quando si trova a non più di 30 centimetri dalla linea bianca, anticipando di un secondo e mezzo l’arrivo in corsa di due maglie nerazzurre.
Sai qual è l’aspetto più eccezionale del momento? Non il “miracoloso” salvataggio in sé, ci può anche stare, ma che subito dopo in tutto lo stadio non debba accorrere nessuna barella, nessuna ambulanza. Che l’altoparlante dello stadio non debba chiamare nessun medico presente. Assolutamente incredibile e miracoloso, questo sì, dopo l’azione che abbiamo appena visto.
Ancora qualche minuto e un atalantino (che non riconosco) s’infortuna durante un’innocua azione di gioco; probabilmente si tratta dei soliti crampi, o della solita scusa per concedersi (e concedere agli altri) una salutare pausa. Il Pescara non se la sente di proseguire l’azione, o più verosimilmente aderisce all’invito di “pausa”, e lo stesso Andreuzza (mi pare) butta la palla in fallo laterale per consentire le “finte medicazioni”. Una volta che la “pausa” è finita, l’Atalanta batte il fallo laterale e … udite-udite!… ci restituisce la palla!… tra l’incredulità generale di tutto lo stadio. Mai visto niente del genere in una partita del Pescara (mentre sappiamo che all’estero è già una consuetudine), per cui gli applausi scroscianti sono assolutamente sinceri; ai confini dell’affetto verso una squadra evidentemente molto meno “stronza” di come l’avevamo classificata finora.
Anzi, di per sé ci ha appena dato una lezione di sportività. Poi magari si dovrebbe vedere cosa sarebbe accaduto se questa partita fosse stata decisiva anche per loro, ma è un altro discorso che ormai non ha alcun senso.
Con le mani e con i piedi, siamo arrivati a un quarto d’ora dal termine, e non stiamo più nella pelle: mancano 15 minuti alla Serie A! Ma ti rendi conto? Anni, mesi, giorni, ore di attesa, e adesso sono solo 15 minuti!… Scompaiono anche gli ultimissimi timori sulla possibile carognata atalantina, perché siamo padroni del campo e l’Atalanta sta ritirando anche il secondo remo in barca.
A maggior ragione ci convinciamo che “è fatta” nel momento in cui Nobili batte un altro calcio d’angolo (dei quali s’è perso il conto), preciso sulla testa di Zucchini che va a colpo sicuro, mentre Pizzaballa è dall’altra parte, quindi irrimediabilmente fuori causa. Proprio come il 9 giugno 1974, quando anche l’indiavolato portiere leccese Bertonelli dovette cedere davanti alla potenza di Vincenzo; allora era il 73°, ora è il 75°: una quasi coincidenza di per sé sconvolgente.
Quando la palla è in volo, noi stiamo già urlando “Gol”! a squarciagola, con tutto il senso di liberazione che questo gol comporta, ma la palla colpisce in pieno la traversa.
Disperazione generale. A un quarto d’ora dal termine, questo gol (peraltro meritatissimo) avrebbe posto fine a ogni ansia e tormento interiore, anche perché la nostra resistenza cardiaca ha già accesso da tempo la spia rossa e qui c’è gente non più giovanissima. Qualcuno fa saggiamente notare: “Forse è meglio che quella palla non sia entrata … non svegliamo can che dorme”!
Infatti, la traversa ha svegliato il “can che dorme”, quasi fosse stata la “rottura di un patto”, e ora in mezzo al campo hanno anche iniziato a darsele di santa ragione, generando una serie di falli l’uno più stupido dell’altro. Ma che sta succedendo? Sono tutti impazziti, per una “semplicissima” traversa colpita? Oppure stanno sceneggiando una partita “all’ultimo sangue” per far ricredere chi è convinto di una combine?
Sarà quel che sarà, ma intanto cominciamo un po’ tutti a tremare sul serio perché, a meno di un quarto d’ora dal termine, questi “disgraziati” stanno iniziando una nuova partita, totalmente diversa da quella giocata finora e perciò con epilogo tutto da scoprire; qui ora può davvero succede qualsiasi cosa: dal 3-0 allo 0-3, in mezzo c’è di tutto. Sono pazzi!… sono davvero impazziti tutti quanti, senza rendersi conto che stanno facendo “morire” 30.000 persone: una strage epocale!
Fatto sta che l’ennesimo fallo atalantino è di inaudita cattiveria: pugno in piena faccia a Galbiati, gentile omaggio del loro n. 10 Tavola. Espulsione quanto meno ovvia, ma c’è davvero da restare sgomenti per un cambio di marcia che non ha alcuna giustificazione. E già li sento, quelli in Tribuna che sanno sempre tutto: “Visto? Il miglior giocatore atalantino s’è fatto espellere apposta, per lasciare via libera al Pescara” … Sì, talmente “apposta” che per poco Galbiati non finisce in ospedale con mezza faccia sfasciata.
Come se non bastasse, l’espulsione incattivisce ancora di più l’Atalanta, nemmeno avesse subito il peggiore degli sgarbi. Allucinante, quello che si deve vedere! Semmai, sarebbe proprio il Pescara a doversi incattivire per via dei tanti e immotivati falli, ben lontani dall’essere affettuose carezze del tanto decantato “volemose bbene”. E purtroppo, un altro macabro flash storico arriva immediato: Trani-Pescara del 18 giugno 1972 … partita “parlata” … partita “alla camomilla” … partita che “sht’appoht” … finché quell’imbecille (o forse benedetto?) di Moro non commise il più assurdo dei falli calcistici, scatenando la furiosa reazione del Trani. E tutti sappiamo com’è finita la partita che “doveva sicuramente” finire 0-0. Un flash storico a maggior ragione rabbrividente nel momento in cui è contornato da due pericolosissime azioni degli atalantini, i quali stanno cercando con ostinazione il gol di Bertuzzo, probabilmente per via della classifica cannonieri; infatti, proprio in questo momento (meno di dieci minuti alla fine) Piloni deve uscire a valanga sui piedi di “Ezio-gol” … Questo gran figlio di una gobba … finora non ha toccato una palla, e adesso sta facendo il diavolo a quattro per “conquistare un posto in Nazionale”!… Adesso!… a dieci minuti dalla fine!
Secondo me, questi non hanno capito, perlomeno non del tutto: se oggi mettete in opera un’altra carognata, del tipo Atalanta-Catanzaro di sei anni fa, la prossima Serie A non potrete giocarla per mancanza di giocatori. Vi sgranocchiamo vivi come si fa con le marrocche arrostite; avete presente?
La replica del Pescara è immediata, e a cinque minuti dalla fine è Pizzaballa che deve tirare fuori il meglio di sé (ma lo sta facendo dall’ultima di campionato, all’Adriatico) per parare un’altra cannata di La Rosa destinata in fondo al sacco.
Ma come si fa a pensare che questa “nuova partita” sia tutta una sceneggiata delle due squadre? E se una di queste azioni “entra” davvero in porta, poi è sicuro che in così pochi minuti si sviluppi l’azione utile per “far pareggiare”? Un’azione che, avendo addosso gli occhi del Capo Ufficio Inchieste e di tutta Italia, deve essere la più insospettabile possibile. Come facciamo a stare tranquilli? Anche il Catanzaro “stava tranquillo”.
Non sappiamo più cosa pensare.
Non sappiamo più cosa fare. Spingere il Pescara verso il gol della vittoria, per vincere così il mini-girone e “lavare la faccia” a un po’ di gente? Oppure tenerci ben stretto questo 0-0 che, ora come ora, è molto ma molto più prezioso di quanto abbiamo pensato fino a dieci minuti fa?
A peggiorare la situazione, semmai fosse possibile, ci si mette pure quel gran … di Rota: a cinque minuti dalla fine … a cinque minuti dalla fine di un infinito, sfibrante, massacrante campionato, si sbraccia e urla dalla panchina!… ora molto più che mezz’ora o un’ora fa, per urlare ai suoi di “non mollare!… A cinque minuti dalla fine?… Con 40° all’ombra?… Con la Serie A già in tasca da quattro giorni?… Con 30.000 “bestie feroci” pronte a sbranarti nel vero senso del termine se solo osi avvicinarti una volta di più all’area Biancazzurra?
Cosa dobbiamo fare? Prenderla a ridere, sicuri di essere di fronte a un patetico teatrino comico? Oppure, ben più verosimilmente, prenderla come ulteriore controprova che questi grandissimi figli di puttana ci stanno provando per davvero a farci lo sgarro?… visto che “ce la usano”!… Per quale altro fottutissimo motivo dovrebbe agitarsi in quel modo, e proprio ora?
Siamo in preda ad un micidiale mix di emozioni che davvero non so quale altro aspetto della vita possa sviluppare in modo così spietato. Dall’estasi della Serie A “fra pochi minuti” al terrore di un’infamata (evidentemente possibile), stiamo letteralmente impazzendo.
Ma tanto … “è solo un gioco!… E’ solo una partita di calcio!” … E’ assurdo rovinarsi la salute per undici milionari in mutande che rincorrono una palla!… I problemi della vita sono ben altri!… vero?
Vienimelo a dire in faccia!… Adesso!
Butto un’occhiata “scaramantica” in Curva Andrea Costa, su dove è appollaiato il gruppetto di gufi cagliaritani con il loro patetico striscione. Giusto in tempo per immortalare nella mia mente la stessa scena che ho vissuto di quattro ore fa, ma completamente al rovescio. Uno di loro si sta arrampicando di nuovo sul traliccio dei tabelloni pubblicitari per sciogliere le corde e, un po’ alla volta, lo striscione rossoblù scivola verso il basso, fino a cadere completamente sul corridoio, dove altri due “compari” provvedono ad arrotolarlo, lo caricano sulle spalle e si avviano lungo le scale di uscita, per tornarsene tutti assieme là da dove sono venuti.
È il sipario che si chiude.
Quello stesso sipario che il 18 giugno 1972 per noi ebbe le sembianze di una tapparella, e che oggi per loro ha le sembianze di uno striscione. Cambia la forma, ma il contenuto è assolutamente lo stesso, ad ennesima dimostrazione che anche il calcio è una ruota che gira; proprio come la palla con cui si gioca.
Sono finalmente le 19,15 e, almeno in teoria, la partita dovrebbe essere finita.
Non ci credo.
Non riesco a credere di essere arrivato vivo e vegeto a questo momento reale, quindi non più sfrenata fantasia dei mille giorni passati. Ma il triplice fischio non arriva … né ora che riguardo l’orologio … né ora che sono passati altri secondi … né ora che di secondi ne sono passati un’esagerazione. Niente di niente, quello lì non si decide, e nessuno di noi riesce a capirne il motivo. È ora di fischiare: perché non lo fa?
Mi ripropongo di non guardare l’orologio ogni cinque secondi, quindi aspetto volutamente “molto tempo” prima di buttare un’occhiata, così da essere sicuro di vedere “l’ora giusta”. Niente da fare. È passata un’eternità, una vera eternità, ma questo catorcio di orologio segna ancora le 19,15. Com’è possibile?
Va bene, aspetto con santa pazienza. M’inventerò qualcosa per far passare il tempo. Ecco, ho trovato: comincio a pensare alla seconda prova scritta (quella di Architettura) che ho domattina, per l’Esame di Maturità … domattina!… fra 15 ore!… e io oggi sono a Bologna!… Ripasso tutti i progetti possibili e immaginabili, ma il catorcio segna appena le 19,16. Un solo minuto?… È passato un solo minuto?… Non c’è dubbio: si è rotto … si è scaricata la batteria … mi sono dimenticato di ricaricarlo … il gran caldo di oggi lo ha fuso … è un orologio anch’esso tifoso e la tensione lo ha “distrutto dentro” … o non so cos’altro. Ma di certo non è questa l’ora. E te lo dimostro chiedendo a tutti quelli che mi stanno intorno … Non ci crederai mai, ma hanno tutti l’orologio rotto, sadicamente fermo alle 19,16.
È passata “un’altra eternità”, e quest’aggeggio infernale, di umana (e folle) invenzione, misura appena 60 secondi di differenza!?… E’ sicuro che trattasi di orologio? O forse, ben più verosimilmente, è la versione moderna della più atroce tortura medievale?
Gli atalantini, intanto, non hanno certo di questi problemi. Già da metà secondo tempo si stanno divertendo a festeggiare (o a passare il tempo?) e ringraziare la loro squadra con un suggestivo ritmare nome per nome l’intera formazione. Davvero bello ed emozionante, soprattutto quando arriva il n. 11, il loro “Ezio gol” (Bertuzzo), gridato con la tipica forza riservata all’idolo.
Riusciremo a fare altrettanto anche noi? Mah!… ha già provato a fare qualcosa di simile l’autore che ha scritto il testo di “Alè Pescara”, ma obiettivamente per il momento siamo molto distanti. È però sicuro che … … “stiamo studiando”, e la storia insegna che non di rado l’allievo supera il maestro. È il nostro obiettivo.
Già da un po’ Gonella ha il fischietto in bocca e, da bravissimo arbitro qual è, dovrebbe sapere bene cosa farci, soprattutto, dovrebbe ben sapere che deve farlo al più presto, ma aspetta ancora, e non si riesce a capire cosa. Forse sta recuperando qualche minuto, ma per quale motivo? Partita più tranquilla, in tema di interruzioni, non potrebbe esserci.
I fischi che segnalano due punizioni e un fuorigioco producono tre micidiali falsi allarmi, in cui il boato di liberazione ci resta per metà strozzato in gola. Perciò, onde evitare di farci (davvero) del male da soli, decidiamo di non tendere più l’orecchio verso il fischio arbitrale, tra l’altro imitato sulle gradinate una volta ogni tre secondi. Molto meglio tenere sott’occhio le Maglie Biancazzurre, perché solo quando vedremo Nobili, Santucci, Piloni, Zucchini, La Rosa e tutti gli altri alzare le braccia al cielo avremo la certezza, l’unica certezza che ci interessa ora.
Ed è con questo snervante andamento che, dopo tre eterni minuti di recupero, arriviamo al vero triplice fischio di chiusura … che non abbiamo sentito, ma che possiamo decodificare appunto dagli abbracci isterici dei nostri Campioni in campo. Accade sempre così: urli ripetutamente “al lupo! al lupo!” e poi, quando il lupo arriva davvero … ma, dopo due mesi di indicibile stress emotivo, il nostro sistema nervoso non ce la fa proprio più ed è al crollo definitivo.
Perciò, questa non è la fine di una semplice partita. È la fine di un intero, snervante, infinito campionato, duro come probabilmente non lo è mai stato in Serie B. Lo vedi tutt’attorno a te, te ne accorgi osservando questa vera esplosione di un accumulo che io e Ciro abbiamo iniziato 61 mesi fa, ma che i nostri padri e i nostri nonni stanno vivendo da tempo immemore, ormai considerato un tempo senza fine.
Invece la fine è arrivata. E questa volta è la fine più gioiosa che esista al mondo.
Bisognava solo aspettare. Aspettare. Aspettare. Con tutta la Santa pazienza di cui disponiamo.
Ora, chi ha saputo aspettare raccoglie il frutto, il premio, di una vera impresa: il Pescara scrive per la prima volta il suo Nome tra le 16 elette della Serie A e noi tutti siamo presenti; qui e ora. Non abbiamo bisogno di farcela raccontare: siamo qui, a vederla con i nostri occhi, a sentirla con le nostre orecchie, a toccarla con le nostre mani, persino a odorarla con le nostre narici. La urliamo con le nostre gole.
Stanno piangendo tutti, dai ragazzini (e sono tanti) ai più anziani, quelli del Rampigna, quelli di Scuccimarra presidente, di Cervato e Masoni allenatori, di Tontodonati e le arrampicate in bicicletta fino alla “Civitella” per i derby col Chieti. Quelli che non smettono più di ripetere il loro unico pensiero: “Adesso sì che posso morire contento”.
In campo … stessa cosa! L’Atalanta è di nuovo tutta raccolta sotto il suo spicchio di Curva, per dare vita a festeggiamenti che però sanno molto di “già visto”, mentre sullo splendido tappeto erboso sono rimasti solo gli Undici Campioni Biancazzurri. Sì perché … incredibile ma vero … riusciamo “quasi” a mantener fede alle promesse fatte nei giorni scorsi (dietro richiesta accorata della Società e del CCCB), cioè a non invadere in massa il campo a fine partita, proprio per consentire i festeggiamenti. Solo qualche decina di ragazzi scavalcano comunque la recinzione, ma ci può stare (beati loro che ne hanno ancora la forza!).
I giocatori si abbracciano, si urlano in faccia, piangono … chi per conto suo, chi buttato a terra con la testa tra le mani, chi per far finta di rianimare il compagno di squadra, pur essendo egli stesso ad aver bisogno di essere rianimato, chi resta fermo e incantato a guardare gli spalti, per respirare a pieni polmoni ogni più piccolo alito di questo momento e imprimere indelebilmente nella propria memoria ogni più piccola (e fondamentale) sfumatura di queste immagini. Di questi suoni.
Si ripete la stessa scena di due ore fa: i fotografi cercano ossessivamente di immortalare ogni istante dell’Emozione Biancazzurra, ma vengono subito invitati a girare l’obiettivo verso di noi, verso l’intero anello delle gradinate tutt’attorno, come a ripetere: “Non è noi che devi fotografare, ma tutti loro, tutto questo mare di gente senza pari. Sono loro i veri protagonisti, dei quali noi siamo solo una conseguenza”.
La squadra conseguenza della tifoseria.
Non è un capovolgimento della realtà, è “la” realtà.
È questa la realtà da non dimenticare mai: un popolo esiste anche senza la squadra di calcio che lo rappresenta, ma una squadra di calcio non è mai esistita, non esiste e mai esisterà senza un popolo da rappresentare. Ed oggi ne è arrivata anche la tangibile dimostrazione.
Matteo Santucci, appena un diploma di terza media conseguito … lui solo sa “come” … lo ha capito benissimo, a differenza di qualche dotto e sapiente con la penna in mano che, invece, fa ancora molta fatica a capirlo; anche se può appendere alla parete tre lauree e un numero imprecisato di diplomi; la cui attendibilità sarebbe peraltro tutta da verificare.
Recuperato un minimo di ragione, tutta la squadra prende di peso Cadè e Caldora per portarli in trionfo lungo tutto il perimetro della pista d’atletica, partendo dalle panchine per andare verso la Curva San Luca e quindi sotto i Distinti, dove sono costretti a fermarsi per … lo spostamento d’aria prodotto dalla nostra ovazione. Stiamo facendo di tutto per trattenerli con noi … fino a domattina, se ce lo concedono … fino a domenica prossima, se il Comune di Bologna ci lascia aperto lo stadio, ma purtroppo non è possibile, perché ci sono migliaia di tifosi Biancazzurri in attesa anche in Curva Andrea Costa, di per sé ancora presidiata dagli atalantini nella parte centrale, ma ora praticamente scomparsi in mezzo alla “tenaglia biancazzurra” che li ha stretti sin dall’apertura dei cancelli. Uno sventolio di bandiere da commozione assoluta tanto per l’aspetto scenografico quanto, soprattutto, per il suo significato più intrinseco, invisibile, eppure presente “a tonnellate” nell’aria.

Cadè portato in trionfo

E di nuovo, il gruppone nerazzurro applaude convinto, dimostrando allo stesso tempo grande maturità nel saper distinguere una scena di provocazione da quella di festa sincera, gioiosa e pacifica. Anche perché, gli stanno facendo sfilare davanti il nostro Giancarlo Cadè, bergamasco purosangue e freschissimo ex della panchina nerazzurra, un po’ come se, a parti inverse, l’allenatore dell’Atalanta fosse Tony Giammarinaro. Per cui, se non è un “gemellaggio affettivo” poco ci manca … per oggi; poi, da domattina si torna alle nostre vecchie “ruggini” con i “terroni del Nord”.
Resta comunque incredibile ciò che il calcio riesce a realizzare: prima gli aquilani e i chietini con bandiere Biancazzurre al vento mentre gridano “Forza Pescara”, e ora gli atalantini che applaudono e onorano il nostro trionfo … Bah!… Se la politica prendesse esempio anche da un solo decimo di tutto questo, oggi vivremmo non già in un Bel Paese, ma in un vero Eden.
Gli atalantini iniziano a raccattare le loro cose con la dovuta calma, quella che serve per continuare a gustarsi gratis l’irripetibile “prima visione” del Film Biancazzurro, per poi iniziare a sfollare con altrettanta calma, chi per raggiungere i propri mezzi e riprendere l’autostrada al casello di Bologna Casalecchio, chi (come il gruppo trainante) per portarsi sotto gli spogliatoi e chiamare uno a uno i loro idoli. I quali non se lo fanno dire due volte e si affacciano tutti per riprendere una festa che, pur essendo imparagonabile al nostro delirio, resta assolutamente ammirevole nella sua moderazione; in fondo, i bergamaschi sono venuti qui solo per questo motivo. Particolarmente osannato Pietro Fanna che, essendo stato già ceduto alla Juventus, oggi ha giocato l’ultima partita con la maglia nerazzurra.
E poi, tutti a casa. Ognuno riparte con il proprio mezzo e, nel giro di pochi minuti … puff!… spariscono nel nulla, in punta di piedi come sono venuti, inghiottiti dalla A1 e da un’assuefazione alla Serie A che, da un certo punto di vista, a noi oggi appare una bestemmia.

È già passata mezz’ora da quello storico triplice fischio. Sì, perché ora questo maledetto aggeggio chiamato orologio corre a perdifiato e scandisce i quarti d’ora come fossero noccioline. Solo ora inizia … o dovrebbe iniziare … il nostro sfollamento. Ma non è così, perché la stragrande maggioranza dei presenti fa una fatica enorme a lasciare la “magia” di questo posto che da oggi entra di diritto nella Storia di Pescara. Non solo “del” Pescara, ma proprio di Pescara tutta. Abbiamo letto e studiato posti come Waterloo, Teano, Marsala, la Bastiglia di Parigi, la “primavera” di Praga, le “cinque giornate” di Milano … e adesso per noi ci sono anche Trani e Bologna, a tutti gli effetti “alfa e omega” di un lustro che ha cambiato radicalmente, e per sempre, il significato di Calcio a Pescara.
Sarà perché vogliamo ancora una volta registrare nella mente queste immagini, sarà perché un po’ tutti stiamo fantasticando e aspettando un “bis a grande richiesta”, come se da un momento all’altro il sipario si dovesse alzare e tutti i 22 protagonisti stessero per tornare in campo fra pochi minuti.
Molti siedono (finalmente) sui gradoni dove sono stati in piedi per oltre 5 ore, altri preferiscono restare in piedi perché consente un maggior movimento “di scarico”, ma tutti parlano, commentano, organizzano festicciole improvvisate in loco … non se ne va quasi nessuno! Insomma, lo stadio bolognese come una gigantesca piazza nelle migliori serate d’estate.
La verità è che l’emozione, invece di sfumare velocemente (come sarebbe logico attendersi) sta addirittura aumentando con andamento iperbolico, man mano che ci rendiamo conto di ciò che è appena accaduto. E secondo me, nessuno qui si è ancora reso conto.
Il campo adesso è totalmente vuoto, perché anche gli ultimissimi inservienti e fotografi sono rientrati negli spogliatoi. Il sole, benché ancora alto, ha già iniziato la sua lenta discesa e sta dando all’erba del campo una tonalità di verde smeraldo da far sobbalzare il cuore, mentre nell’aria c’è un profumo paradisiaco. Non avrei mai immaginato che la Natura potesse riservarci sensazioni così forti, e non mi capacito che debbano restare uniche. Le linee del campo sono ancora di un bianco talmente nitido da sembrare di essere state segnate cinque minuti fa. Il bianco abbagliante delle porte e delle reti, messe ancor più in risalto dal rosso della pista d’atletica.
Le panchine vuote che continuano a ripeterci: “spettacolo finito”. Ma noi non ci muoviamo.
I 105 minuti più invocati, sognati e temuti della tifoseria Biancazzurra sono finalmente e definitivamente passati. Non sono più motivo di terrore, di sinistri presagi gracchiati dai corvi neri, ma ora sono solo la porta d’ingresso al Paradiso del Calcio. È dunque il momento di mille emozioni da goderci goccia-a-goccia, perciò non solo estasi allo stato puro, non solo di “scarico” per tutte le sofferenze e le paure degli ultimi tempi, ma inevitabilmente anche di sana e libidinosa “vendetta” verso tutti coloro che infangato, vilipeso, calpestato, soprattutto ignorato la Bandiera Biancazzurra.
Dunque, è naturale che ora nella nostra mente scorra una sorta di filmato che riassume l’ultimo “agitato” decennio della Storia Biancazzurra [e che spiega anche il il motivo del titolo “La parola si è compiuta” – ndr]. Un filmato che, ce ne rendiamo conto solo ora, ha l’effetto di una bomba atomica per la nostra emotività, poiché ogni suo singolo fotogramma potrebbe racchiudere in sé l’intera vita da tifoso [NdA: il “film” vuole simulare una serie di fotogrammi con cui si “ripassa” un pezzo di Storia Biancazzurra. Lo sfondo di ogni pagina varia, per richiamare il periodo “grigio”, che peggiora gradualmente fino al “nero” profondo di Trani (rimarcato dal nero ripetuto tre volte), per poi iniziare a risalire verso il chiaro e diventare (sempre gradualmente) “azzurro” con cui segnare gli anni magici] (continua qui).
Gabriele (“Gaby”) Orlando
[estratto dal (mio e vostro) diario del PESCARA RANGERS]
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